STORIA DI UNA LES PAUL

 

Mi piacciono le storie delle chitarre.

Mi son sempre piaciute.

Non solo le storie di quelle famose (Old Black, Blackie e compagnia bella), ma da quando frequento il web anche le

storie, i cammini, le peripezie e le trasformazioni di quelle meno blasonate per non dire anonime.

Da quello che ha speso più soldi per trasformare una squier che a comprare una standard nuova a quello che l'ha

persa e ritrovata dopo vent'anni.

Da quello che ha la possibilità di comprarsi uno stabilimento intero a quello che si è cucito da solo anche la bag.

Mi piace e continuerò a farlo.

Non devono essere necessariamente storie con grandi finali.

Mi piacciono anche semplicemente le storie di quelli che scrivono sono entrato, l'ho comprata e me la sono portata a

casa.

Era inevitabile, dunque, che iscrivendomi a Laster, ne scrivessi una anche io.

Anche questa storia non ha niente di clamoroso.

Non ha un finale né lieto né triste.

Anzi non ha un finale.

E' una storia ancora in corso, ma scriverla mi servirà a ripercorrere la mia vita (perchè alla fine di questo si tratta,

secondo me, quando scriviamo di chitarre) negli ultimi 13 anni.

13 si.

La protagonista di questo post ha 13 anni.

La acquistai nel 1996 in un negozio del centro di Bari, piano piano, facendo la cresta sul budget settimanale che

avevo a disposizione all'università.

Era – ed è ancora - una Epiphone Les Paul.

All'epoca era una sunburst.

Fino ad allora avevo suonato solo una classica, la mia primissima chitarra (ma questa è un'altra storia), tolto un

bouzouki che non so come si trovava in casa.

Avevo 18 anni quando l'elettricità musicale scosse la mia esistenza.

Fino ad allora era stato tutto folk, country, campagna, aria aperta, trame malinconiche di abbandoni da parte di donne

cattive, “Non sono io, babe, non sono io”.

Poi complice le cavalcate di Neil sul Cavallo Pazzo e la sputata somiglianza dei miei capelli con quelli di un tale di

cui non conoscevo neanche il volto (è Slash se non l'avevate capito) optai per una Les Paul.

Epiphone, made in Korea – ovviamente – altrimenti ahyvoglia a fare la cresta.

Io questa differenza con la cugina importante, però, non gliel'ho mai fatta pesare.

Ci feci i primi concerti con un gruppo rock.

Conclusa quell'avventura, fu riposta nella custodia e tirata fuori solo ogni tanto.

Una di quelle volte, poi, nel tentativo di ridar vita ad un rapporto un po' logoro, lei mi guardò come per dirmi “Vuoi che

mi faccia mora per te, eh?”.

Accettai la provocazione e la portai da un liutaio/parrucchiere per farle il colore.

Lui eseguì e la Les Paul fu ribattezzata Nella.

Nella ed io suonammo per qualche anno in un'altra formazione.

Furono tempi felici.

Sul palco non m'ha mai tradito. Fuori non so.

Io purtroppo si.

La lasciai, così di punto in bianco. Senza una spiegazione.

Non era neanche colpa sua.

Quel suono che non trovavo era colpa degli effetti, non sua.

Ora lo so, allora no.

Cambiai genere musicale, comprai una classica che attaccavo direttamente al mixer.

Credo che abbia sofferto, ma, ostinata come una donna che vuole averla vinta, seppe aspettare.

Non disse niente neanche dopo l'acquisto di una rivale ben più blasonata: una Fender Starocaster americana.

Si perchè nel frattempo l'elettricità era tornata sotto forma, questa volta, di dirigibile di piombo, di marmellata di perle,

di esperienza e purpurea foschia.

Credo che lei abbia pensato (e vi giuro che la personificazione di questo strumento a questo punto della storia sta

spaventando anche me) “ma si, sfogati, togliti lo sfizio con lei, tanto è da me che tornerai. Io sono il tuo vero amore”.

Son passati gli anni.

Son cambiati i gusti.

Meno di un mese fa l'ho tirata fuori e le ho detto “Vestiti, facciamo un giro, ti porto dal parrucchiere”.

“Ma come? - fa lei.

“Si si, via quel nero, si torna a risplendere”.

Dopo una decina di giorni vado a riprenderla.

Sono entrato nel laboratorio del liutaio (non lo stesso di qualche tempo prima) e passandole accanto nenanche la

riconoscevo.

L'artigiano aveva rimosso due strati di colore (si perchè il primo liutaio mica l'aveva sverniciata) e verniciata Gold Top.

Io non so, ora, il ruolo che gioca il colore al di là dell'estetica, ma Dorothy (oggi si chiama così) ha tirato fuori un

caratterino tutto pepe.

Bluseggia, cruncha, sprizza vitalità.

Sembra liberata, non vive più all'ombra di nessuno.

Sarà la maturità o son cambiato io.

Oggi stiamo insieme appena possiamo.

Oggi suono in un power trio.

Oggi pomeriggio ho le prove.

Oggi la giovane e ossuta Strato sta a casa.

Comments

Commovente. Bellissima storia.

E falla ruggire per bene questa signorina!

Daniele.

 

stasera stasera...dovrà dirmi "abbasta abbasta"

Con un indeciso del look come te, è brava a sopportare tutti questi cambiamenti.
   Deve volerti proprio bene.
Gold top non è proprio la mia finitura preferita, ma  sempre meglio che nera.
Lei poverina, accetta e quindi ricambiala con affetto e non trascurarla troppo.

Buona musica. A tutti e due.

Enrico. Bald Eagle.

Grazie dei consigli, ne farò tesoro.

In effetti è vero, l'ho un pò maltrattata.  A volte pensiamo più a quello che desideriamo perdendo di vista quello che abbiamo sotto gli occhi.

Forse il senso di questo racconto è proprio questo, l'ho capito mentre scrivevo.

Capita anche a voi di avere sensi di colpa nei confronti di una chitarra?

 

p.s. Forse la chitarra che tollera di più i tradimenti è la SG...potete immaginare il perchè

 

Saluti