Radiohead - Seconda parte

Scritto da FerroFe il 20/Feb/2011 alle 23:20

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Da "The Bends" a "Ok Computer"

Alla fine del '95 "The Bends" venne nominato il secondo disco dell'anno dopo "(What's The Story) Morning Glory?" degli Oasis dalla rivista Melody Maker, molti critici americani ed inglesi lo misero in testa alle loro classifiche. Nonostante tutte le notizie positive, sui cinque di Oxford iniziò a pesare la vita da tour, sia fisicamente che psicologicamente.

Greenwood soffrì di gravi problemi alle orecchie, tanto da dover suonare per alcuni mesi con cuffie da lavoro, Yorke soffrì di versamenti alle orecchie, problemi alla voce e vari problemi scatenati dallo stress da tour.

In aggiunta a ciò erano spesso bersaglio di critiche riguardanti la loro apparente negatività, la tristezza di alcuni brani di “The Bends” e la voce sempre lamentosa.

La fine del tour, a dicembre '95, arrivò come una benedizione: il gruppo si disperse per passare tempo con le famiglie e riposarsi un po'. Il ritorno a gennaio del '96 fu pieno di novità.

Come prima cosa, dopo l'esperienza traumatica della registrazione di “The Bends”, si decise di auto produrre l'album, con la sola assistenza del tecnico del suono (ormai quasi un "sesto" Radiohead) Nigel Godrich.

L'intenzione era quella di ridurre tutte le tensioni introdotte da un produttore esterno, collegamento troppo stretto con le pretese commerciali della casa discografica. Oltre che rendersi indipendenti nella produzione, si decise anche di allestire uno studio mobile apposta per il gruppo, di loro proprietà.

La bontà delle idee del quintetto inglese vennero confermate dai vecchi produttori di “The Bends”: se il livello dei lavori auto prodotti era come quello di "Lucky", i Radiohead non avevano bisogno di nessun aiuto esterno. I lavori iniziarono a febbraio e vennero interrotti dall'ennesimo tour americano, questa volta di spalla ad Alanis Morissette, e si intensificarono ad agosto, quando lo studio di registrazione mobile allestito da Godrich venne completato.

Le prime sessioni di registrazione vennero svolte nella loro sala prove in un capannone industriale dalle parti di Oxford. La logistica non era il massimo e si decise di noleggiare una residenza privata del '500, vicino a Bath: il disco venne in pratica registrato nelle stanze di questa villa storica in pietra, cambiando spesso parte della casa a seconda dell'umore del gruppo.

 

 

La storicità della location e del vario mobilio d'annata regalò un po' di suggestioni al gruppo. Nonostante tutto, alcune tensioni si svilupparono: produrre un disco a cinque mani non è né semplice né intuitivo, ed i cinque di Oxford dovettero imparare a convivere musicalmente gli uni con gli altri. A questo lavoro in studio si affiancò un nuovo corso anche sul palco: sempre di più i Radiohead provavano pezzi inediti in tour e, in pratica, tutto il disco che stavano registrando era già stato provato dal vivo durante i vari concerti svolti nel '96.

A febbraio del '97 il disco era pronto e c'era da scegliere un singolo. La casa discografica però, dopo l'ascolto dell'album, non trovò un pezzo adatto. Nonostante considerasse il disco fantastico, non c'era un pezzo radiofonico: i Radiohead, piuttosto stanchi del perverso sistema del music business, dissero che il disco sarebbe uscito lo stesso, il singolo scelto dal gruppo era Paranoid Android, sei minuti di minisuite in tre parti, sicuramente la traccia meno commerciale di tutto il lavoro.

Ok Computer

 “Ok Computer”: c'è chi dice che sia il disco più significativo degli ultimi 20 anni, c'è chi l'ha definito il Dark Side Of The Moon degli anni 2000, c'è chi lo considera la chiave di lettura "dell'incasinatissimo encefalogramma della generazione X europea".

Mentre è validissimo il parallelo con TDSOTM e sicuramente è tra i migliori album degli anni '90, un po' più forzata è la definizione di disco "generazionale": molti dei pezzi offrono chiavi di lettura interessanti del mondo contemporaneo, molto dirette ed esplicite, ma comunque riconducibili al quintetto. Non c'è nessuna "My Generation" tra i solchi di quest'opera.

Se “The Bends” è un bellissimo disco di canzoni, “Ok Computer” è un fenomenale disco di suoni. Non che le canzoni siano trascurate, anzi, sotto alcuni aspetti c'è forse più unitarietà e qualità rispetto al precedente lavoro. Ma quello che rimane più impresso dopo il primo ascolto è la quantità e la qualità del lavoro "sonoro" dei Radiohead.

Soluzioni innovative giocate su vecchie strumentazioni accoppiate con le tecnologie digitali, come dicevo all'inizio di questo articolo. Se in un buon disco è presente una buona partenza, questo non è da meno: il quartetto Airbag, Paranoid Android, Subterrean Homesick Alien e Exit Music (for a film) è qualcosa di esaltante. Mi è capitato per le mani il vinile del disco e il lato A - disco 1 contenente le prime tre tracce di questa lista, ha rafforzato ulteriormente questa convinzione.

"Airbag" parte con una chitarra satura che disegna un riff oscuro e incalzante, doppiata da un Mellotron. La batteria è un piccolo capolavoro "techno": registrata convenzionalmente, spezzettata in frasi di non più di 3 secondi ed editata per renderla più meccanica. Lo Space Echo di Greenwood apre meravigliosamente l'atmosfera fino all'assolo, in cui tra filtri d'inviluppo, echo e Whammy si arriva a un suono robotico. Corale la conclusione, con un testo che tra immagini apocalittiche invoca il ritorno per salvare l'universo.

 

 

La successiva Paranoid Android è perfetta quanto l'apertura: un riff acustico in finger picking viene presto supportato da arpeggi su toni altissimi, prima di esplodere nella parte centrale, tesa e tirata, che si conclude con un assolo ultraterreno e dai suoni perfettamente "digitali".

L'atmosfera poi si calma, una serie di accordi discendenti e un tappeto di synth portano a un'atmosfera da "caduta degli Dei" melodicamente irresistibile, in cui arriva il culmine del testo incentrato sull'alienazione della vita moderna. Prima della fine c'è un ripresa della parte centrale, altrettanto violenta e che termina secca, come se qualcuno avesse spento il lettore. Meravigliosa.

Un attimo di calma ed ecco partire un arpeggio riverberato su cui entrano un Rhodes e lo splendido Echo di cui parlavo in apertura: una combinazione di Whammy, Small Stone e Space Echo che definisco aliena per via del testo della traccia. Subterrean Homesick Alien racconta dello smarrimento di ipotetici alieni arrivati sulla Terra: contiene forse uno dei frammenti più belli mai scritti dalla penna di Yorke, quel "...I’d show them the stars and the meaning of life..." che arriva nel momento più intenso del pezzo, poco prima della conclusione che avviene sullo stesso arpeggio di apertura.

 

 

A concludere questo quartetto arriva Exit Music (for a film), pezzo prestato al film Romeo+Juliet uscito l'anno precedente. Una serie di accordi decisamente minori e una voce quasi sofferente canta un testo che sembra di fuga dal mondo adulto. Dopo l'entrata della batteria e di un bel basso distorto la dimanica sale sul verso che rende chiaro che la fuga è più un suicidio che altro. Pezzo oscuro e molto intenso.

Dopo questo pessimismo cosmico l'atmosfera si alleggerisce per la prima volta: un arpeggio pulito e solare di 5/4 viene incastrato in un 4/4 standard, rendendo l'atmosfera sospesa. Let Down parla della frenesia dei viaggi odierni, e viene arricchita sul finale da controcanti melodici e coinvolgenti.

La successiva Karma Police è uno dei pezzi forse più conosciuti del gruppo, anche grazie al video ufficiale. La canzone è una classica ballata che però riserva due sorprese: un testo ricercato sulla libertà di pensiero e un finale dominato da un delay mandato in oscillazione e da una batteria tagliata e campionata, con tutto che termina in un'onda sonora perfetta per collegare il pezzo all'intermezzo successivo.

Fitter Happier non è altro che una serie di frasi recitate dalla voce elettronica di un Mac e sottolineate da rumori e suoni quasi casuali, il tutto incentrato su certi aspetti poco umani del vivere odierno.

L'episodio più esplosivo del disco è una invettiva contro la politica, una delle prime veramente esplicite del quintetto di Oxford. Electioneering suona rock alla stato puro, tagliente e selvaggia, ed è impreziosita da un assolo coinvolgente dai suoni quasi convenzionali.

La traccia successiva è invece quella più irrequieta: se Exit Music è triste ma anche a suo modo arrabbiata, Climbing Up The Wall richiama atmosfere decisamente inquietanti.

Batteria, chitarre, voci, basso si nascondono dietro a muri di effetti e filtri, e il testo parla di demoni e richiama scene di violenza domestica, quasi un richiamo alla doppia personalità. Un urlo distorto porta alla conclusione di questo pezzo riuscitissimo, anche se regala sensazioni ben lontane dalla serenità.

No Surprises è invece posta in una posizione perfetta in scaletta: le sue atmosfere dolci sono perfette dopo tutta l'inquietudine del pezzo precedente. La chitarra principale suonata con un capo al 15° tasto (una Rickenbacker per la precisione, credo uno dei pochi modelli a cui è possibile applicare un capo così avanti sulla tastiera) viene doppiata da un glockenspiel. Meno onirico ma molto intenso il testo: parole di rassegnazione che si concludono anche qui con un accenno al suicidio. Molto belli i controcanti sul finale.

 

 

Prima del gran finale è posta quella Lucky già uscita tempo prima: la versione è identica, il gruppo provò a riregistrarla ma senza ottenere buone take. Anche qui una chitarra impreziosita dallo Space Echo sostiene il testo, una canzone d'amore non scontata, tra supereroi, dubbi e incidenti. Molto bello il crescendo e la dinamica finale.

The Tourist è il gran finale, un pezzo scritto da Jonny Greenwood su un 5/4 saltellante e melodico, quasi jazzato, in ogni caso dotato di un'atmosfera rilassante. Il testo è un invito a fermarsi, a rallentare prima di smarrirsi. Bellissima la chitarra satura che taglia a metà il pezzo, così come bella la trovata di concludere un disco pieno di grandi suoni con la cosa più semplice e lineare: un rintocco di triangolo.

La cosa più stupefacente di questo disco è la sensazione che lascia dopo ascolti ripetuti: non è un album immediato, richiede un certo lasso di tempo per essere digerito. Ma una volta assimilato è qualcosa di stupefacente ad ogni ascolto, sul piano sonoro, sul piano lirico ma soprattutto sul piano emozionale. Ok Computer è un disco emozionante, puro e cristallino.

(Continua)

Fulvio Ferretti