Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
“Quando muore un uomo, una biblioteca brucia."
Questo struggente proverbio africano mi è venuto subito in mente quando ho appreso che le condizioni di Ernesto erano molto gravi, troppo perché ci fosse una speranza di ripresa. Il proverbio nella sua semplicità ci dice, meglio di quanto mille parole non possano fare, che nella testa e nella storia di ognuno di noi ci sono migliaia di volumi immaginari, immagazzinati nel corso di una vita, sono solo nostri, e lasciano questo mondo non appena lo facciamo noi.
Nel caso di Ernesto non brucia solo una biblioteca, brucia una discoteca, una stazione radio, un locale da concerto, va in fumo una vita dedicata alla musica.
Si spezza quel collegamento che teneva insieme tutti i pezzi, la collezione dei suoi dischi, senza di lui, non ha più senso, i concerti che ha visto, i musicisti che ha intervistato, tutto andato.
Il legame che ognuno di noi rappresenta con il proprio mondo appare chiaro quando uno di noi se ne va, in cerca di qualcosa di meglio, mi viene da pensare
Anche se quello che Ernesto aveva qui non era poco. Gli affetti delle persone care, i molti amici e i conoscenti che lo stimavano, gli sconosciuti silenziosi che lo hanno ascoltato per radio nel corso degli anni. Era sempre in cerca di qualcosa di nuovo, era sempre sul palco di qualche manifestazione Blues e Soul a presentare musicisti più o meno noti, conosceva tutti.
“Ernesto, ti ricordi dei Rockpile? Ho appena scoperto il loro unico disco, fantastico”.
“Li ho visti dal vivo nel 1979 a New York”.
Questo era il tenore delle nostre conversazioni.
Aveva sempre qualcosa da insegnarti, senza fartelo pesare. Un suggerimento, un consiglio se eri un giovane musicista, una mano se ti stimava e credeva nel tuo progetto, mai parlato di soldi, solo amore e passione per ciò che faceva.
Non era il mio migliore amico, né io il suo, ma difficilmente la scomparsa di qualcuno a me non intimo mi ha toccato di più. Forse perché lo conoscevo dai primi anni ‘90, forse perché ci siamo sentiti a distanza di anni con lo stesso piacere e la stessa leggerezza, forse perché negli ultimi tempi era il produttore del Gina Trio di cui faccio parte e stava spingendo come un matto per questi tre musicisti che difficilmente risulteranno “commerciali”. Ma in fondo, a chi importa? La musica prima di tutto.
Forse solo perché ho realizzato che Ernesto era “cultura” allo stato puro, quella cultura con cui sto cercando di riempire la mia vita, vita che con lui era un po’ più piena di quanto non sia ora.
Ma il suo insegnamento ci deve spronare, a far sempre meglio e sempre di più, a non fermarsi di fronte alle difficoltà, perché il nostro confine lo decidiamo soltanto noi, come mi ha detto nella nostra ultima chiacchierata, mentre lo accompagnavo alla stazione Termini dopo che era venuto a Roma da Firenze per assistere al nostro concerto-intervista su Isoradio. Chi immaginava sarebbe stata l'ultima.
Sarà strano andare a Firenze e pensare di non potergli fare un colpo di telefono.
Molti suoi amici lo stanno celebrando sul web e non solo, e molti hanno pensato la stessa cosa, il modo in cui anche a me piace ricordarlo: da qualche parte, a parlare con Robert Johnson, Sam Cooke, Jimi Hendrix. Gli unici che ancora mancavano al suo appello.
Lunga vita al Blues.
Lunga vita a Ernesto De Pascale.
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