Decima puntata della rubrica che vede Daniele Bazzani e Giovanni Onofri parlare delle...
Fuori come va?
Il nuovo album, sempre prodotto da Ligabue in collaborazione con Barbacci, ha un suono che può essere definito una sintesi dei due dischi immediatamente precedenti: le soluzioni tastieristiche di "Miss Mondo" e quelle chitarristiche di "Buon Compleanno Elvis".
D'altra parte il gruppo di musicisti è sempre lo stesso. In effetti il risultato sonoro, se ascoltato con attenzione, non appare come un netto avanzamento rispetto ai precedenti lavori: le chitarre hanno suoni alla "Buon Compleanno" senza però essere preponderanti, andando a creare un semplice tessuto che appare però grezzo, arricchito da hammond e tastiere, quasi come riempitivo.
Inoltre, a dire tutta la verità, in una buona metà delle canzoni compare quel mestiere che aveva fatto capolino in qualche pezzo minore in precedenza e che adesso diventa improvvisamente invadente e un po' fastidioso.
Non che siano brutte canzoni: solo che sanno di già sentito, di poco vissuto, di stanco. E mentre i testi si sono affinati ulteriormente, gli arrangiamenti sono molto meno incisivi. Ma vediamo la tracklist.
La partenza è frizzante con "Nato Per Me", pezzo rock con un'intro che sembra arricchita da un loop, e un testo che riflette sull'umana situzione di egoismo. Le chitarre chiudono bene gli spazi e la batteria evidenzia un suono inusuale, molto medioso.
Tra le tracce interessanti di questo album c'è "Ti Sento": una ballata moderata, una canzone d'amore semplice e diretta. Qui il binomio chitarre-synth funziona e il riff del ritornello accompagna benissimo il testo.
A seguire c'è "Questa è la Mia Vita", un rock moderato e dondolante arrichito da un chitarra satura che disegna un bel riff sulla strofa. Il testo racconta l'invito dell'artista a "prestarsi" le esistenze vicendevolmente, vivendo una nuova esperienza.
Buona anche "Libera Uscita", possiede una buona scrittura e un buon testo, incentrato sulla crisi di mezz'età: lo si può considerare un versione aggiornata e un po' pessimista di "Non è Tempo Per Noi". Leggermente contrastante il riff del ritornello, appare quasi fuori del mix.
Ci sono però anche, e per la prima volta, pezzi che proprio non sono riusciti, che proprio non catturano l'attenzione, tanto da indurre ad andare oltre. Il primo in lista è proprio il singolo "Tutti Vogliono Viaggiare In Prima": un testo che potrebbe apparire interessante, ma che è ucciso da un arrangiamento di interesse zero, con chitarre ridotte quasi a riempitivo.
L'impressione è che ci siano più di tre chitarre a riempire i buchi, e la patina di una "iperproduzione" fa perdere ulteriormente punti a questa traccia. Tra le poco riuscite vi sono "Voglio Volere" ed "Eri Bellissima": la prima è una ballata che parte piano ed acustica e che poi viene gonfiata e snaturata da un ponte troppo invadente e con tastiere eccessivamente presenti ma che, per lo meno, contiene un bel solo finale.
Il testo è una descrizione di una vita ideale. La seconda è un pezzo molto probabilmente autobiografico, con un testo che è un dialogo tra l'autore e una sua ex: arrangiamento basato sulle chitarre che però non graffiano nè si fanno notare, rimanendo piatte e con suoni poco interessanti.
"Il Campo delle Lucciole" è curioso in quanto è un autoplagio: la linea armonica è molto simile a quella di "Balliamo Sul Mondo", e la progressione degli accordi è praticamente la stessa. Musicalmente suona abbastanza fresca, ma in ogni caso risulta eccessivamente anonima, priva di spunti. Il testo è la descrizione di un luogo (forse idealizzato, forse reale) in cui ci si può fermare lontano da tutto e da tutti.
Anche in questo disco però ci sono almeno quattro pezzi molto ben riusciti, tre dei quali racchiusi in un trittico finale che probabilmente vale tutto l'album. Il primo di questo quartetto è "Tu Che Conosci Il Cielo": di nuovo una canzone sul rapporto con Dio, questa volta calmo e quasi rispettoso, in cui l'autore parla con un intermediario "famigliare". Un bel riff e due soli semplici ma efficaci aggiungono valore a questo pezzo.
Il trittico finale invece inizia con "Tutte Le Strade Portano A Te": una sequenza, finalmente usata come parte portante e non come rimpitivo, introduce una ballata in cui le chitarre creano un muro di suono di grande impatto emotivo. Qui il sound del disco prende finalmente forma e mostra cosa avrebbe potuto essere se ben arrangiato e pensato. Il testo è ricco di immagini suggestive, pur mantenendo una bella immediatezza.
Sempre un synth, un omaggio agli Who, lo collega a "In Pieno Rock&Roll", pezzo rock deciso e potente, che in quanto a spontaneità ed immediatezza gareggia con "Sulla Mia Strada", contenuto nel disco precedente.
Quattro minuti e passa di sano rock senza troppi fronzoli, cantando un testo che riconosce alla musica il potere di "sano" stupefacente.
A chiudere il capolavoro di questo disco, ma forse anche la migliore canzone scritta da Ligabue dai tempi di "Miss Mondo" fino ad ora:
"Chissà Se In Cielo Passano Gli Who" è sofferta e sentita, le chitarre hanno i suoni giusti e le tastiere sono discrete a regalano la giusta dose di calore. L'atmosfera malinconica è una dedica a tutti i personaggi che vivono la notte nelle maniere più diverse.
A suo modo è un affresco, come quelli che il rocker emiliano ha dimostrato di saper fare bene. Molto belle le parole usate nel ritornello, sincere.
Tirando le somme, il disco va visto come il classico bicchiere mezzo pieno (o mezzo vuoto): ci sono spunti interessanti, ma anche i primi cenni di stanchezza artistica. La scrittura è maturata, ma non altrettanto hanno fatto gli arrangiamenti. Lo si può definire un disco di transizione, dal quale si può andare migliorando, ma anche peggiorando... In effetti, la tendenza si è potuta vedere solo dopo due dischi.
Infatti, nel 2003 Ligabue opera un piccolo stravolgimento e parte in un tour nei teatri: quello che dalle prime voci sembrava un disco acustico si rivela alla fine ben altro.
Giro d'Italia
Nel tour infatti, oltre a suonare i membri della "Banda" più l'ormai fisso Simoncioni entrano due personaggi non da poco: ai loop, alle sequenze e come tastierista aggiunto arriva D-Rad, al secolo Stefano Fachielli degli Almamegretta, e a suonare violino, bouzouki, armonica e chi più ne ha più ne metta, arriva Mauro Pagani, vero e proprio monumento della musica italiana.
Alla fine del tour esce il disco "Giro D'Italia", un doppio (triplo nel caso dell'edizione limitata) che ha quasi il sapore di un Greatest Hits trasversale.
Da notare che per la prima volte nella carriera di Ligabue non ci sono sul palco amplificatori microfonati, ma emulatori: nelle foto si notano vari Line6 nelle pedaliere dei due chitaristi, nonchè in quella di Pagani.
Visto questo ma soprattutto visti gli ospiti va da sè che il suono ne risente pesantemente. Ci sono si pezzi suonati in maniera acustica, ma anche brani che acquistano un veste totalmente nuova. Ci sono veri piccoli capolavori acustici, come "Almeno Credo" o "Il Giorno Di Dolore Che Uno Ha" in cui le già valide canzone vengono arricchite dalla leggerezza degli arrangiamenti.
Ma ci sono anche rivisitazioni elettroniche decisamente riuscite, con presenza di sequenze e loop: "Camera Con Vista Sul Deserto", "Walter Il Mago" e "Sulla Mia Strada".
Sempre sulla scia di queste si collocano "Tutte Le Strade Portano A Te", in cui il crescendo emotivo è stato ampliato e allungato, ma anche "Questa E' La Mia vita", con un finale quasi circense.
Presenti anche aneddoti e poesie, lette dallo stesso Ligabue e musicate. Altri pezzi risultano meno riusciti: su tutti "Sogni Di Rock'N'Roll" ma anche "Piccola Stella Senza Cielo". Forse la causa principale sta nel fatto che per certi brani è difficile trovare una veste alternativa altrettanto valida dell'originale.
In questo senso forse fare un disco con meno tracce avrebbe aiutato la qualità generale. Tutto sommato però i segnali che arrivano da questo disco sono buoni.
Sembra che Ligabue si sia trovato a suo agio nell'inserire tutti quegli elementi elettronici e a miscelarli con i sapori mediterranei portati da Pagani. Lo sviluppo che da Miss Mondo ha portato a "Fuori Come Va?" sembra qui arrivare al massimo risultato. In questo momento Ligabue è acclamato dal pubblico, molto rispettato dalla critica ufficiale. Sembra quasi non sbagliare mai un colpo. Proprio adesso che sembra aprirsi un nuovo mondo sonora, ecco che inizia il momento "decadente".
Nome e Cognome
Nel 2005 entra in studio per registrare il suo ottavo album. Forse il nostro si è accorto che qualcosa a livello di band non funziona più troppo bene, e cambia: arriva un giovane chitarrista reggiano, Niccolò Bossini, e alcuni turnisti, seppur di razza, suonano nei vari pezzi.
L'unico membro fisso rimane il bassista Antonio Righetti, mentre i due chitarristi della Banda compaiono poco, perlomeno nelle tracce dell'album. Non c'è invece Pagani, ma soprattutto manca D-Rad - perito tragicamente in un incidente stradale l'anno precedente - del quale si vociferava fosse ormai membro fisso del clan Ligabue.
Altra novità è l'arrivo di una produzione a tre: ai soliti Ligabue e Fabrizio Barbacci si affianca Luca Pernici, produttore con origini techno. L'album, intitolato "Nome E Cognome", esce a metà settembre. Per il lancio, il nostro decide per qualcosa di eclatante.
Il 10 settembre ben 180.000 persone presenziano al suo concerto presso il Campovolo di Reggio Emilia. Nell'area sono presenti quattro palchi, sui quali Ligabue si esibisce con la Banda, da solo in acustico, con Mauro Pagani e, per la prima volta dal '94, con i ClanDestino.
A seguire parte un tour, anche qui svolto negli stadi, nei club, nei palazzetti e nei teatri durato fino al 2007, dove ogni spazio era "dedicato" a un tipo di esibizione: stadi e palazzetti con la Banda, nei club con i Clandestino e nei teatri in acustico con Pagani.
Per molti ascoltatori di vecchia data è un po' un tradimento: il Ligabue del Campovolo sembra non parlare più ad ogni singola persona presente ai concerti, quasi ogni canzone fosse una lettera personale, ma parla alla massa, alla folla urlante giunta lì per celebrare il personaggio, non la musica. Di questo però parleremo anche dopo.
Ma vediamo l'album, attualmente l'ultimo registrato in studio del rocker emiliano. Da dire subito che questa volta, sempre grazie al cambio dei musicisti, i suoni subiscono un'altro cambiamento: stile più pulito, tante chitarre sovrancise ed elementi e riff semplici, con distorsioni nettamente british.
La partenza è insolita: un pezzo intitolato semplicemente "Intro", formato da un crescendo di synth e tastiere si collega alla prima vera canzone, "Il Giorno Dei Giorni". Quest'ultima è un rock moderato, in cui le chitarre la fanno da padrone, tessendo una trama piacevole: da notare che una chitarra con un delay evidente compare per la prima volta dal periodo Clandestino.
Il testo è un tributo all'altra metà del mondo, anche se non chiarissimo: dai primi versi infatti sembra di scorgere una rivisitazione di "Balliamo Sul Mondo". Poi un buco nero: "Happy Hour" ha un riff che è imbarazzantemente simile a quello di Sweet Child O' Mine, un testo ridondante e paurosamente simile a quello di "Tutti Vogliono Viaggiare In Prima" e un arrangiamento che non cattura l'attenzione. Il fatto che poi sia stato scelto come pezzo principale di una grande campagna pubblicitaria lo fa risultare al sottoscritto fastidioso se non addirittura insulso. Il problema è che in quest'album ci sono tanti altri brani che quando va bene sono "minori".
"Cosa Vuoi Che Sia" ha un testo che descrive come, nei momenti di difficoltà, ci sia sempre qualcuno pronto a consolarti. A dire il vero le liriche sono a tratti poco comprensibili e un arrangiamento non esaltante, che ricorda gli episodi non riusciti di "Fuori Come Va?", non aiutano il risultato finale.
"Le Donne Lo Sanno" è un altro tributo al genere femminile, in cui un testo buono viene un po' nascosto da varie chitarre stratificate che puzzano molto di iperproduzione. "Vivere A Orecchio" è anch'esso anonimo, sia nelle varie chitarre sovraincise, che nel testo, una diversa "scrittura" de "Il Giorno Dei Giorni", in cui si invita a prendere l'attimo accettando la vita come viene.
"È Più Forte Di Me" tenta di riprendere il discorso de "I Duri Hanno Due Cuori", ma con meno poesia, ironia e un arrangiamento punk che poco si sposa con il resto. Non che nell'album non ci siano pezzi passabili o belli: "L'Amore Conta", una ballatona rock, regala un testo diretto e dotato di un certo pathos, al contrario della maggioranza dei pezzi dell'album.
Le chitarre, pur se iperprodotte, non suonano fastidiose ma valorizzano il testo. Peccato solo per il ponte troppo fuori dal contesto, cosa che spezza la canzone a metà, diminuendo la carica emotiva. Anche "Lettera a G" è riuscita: è una dedica al cugino, quasi commovente. Le chitarre, abbondamente effettate con delay creano un tappeto quasi atonale che risulta emozionato e sentito.
Tra i brani riusciti c'è anche "Giorno Per Giorno", canzone sull'impossibilità di programmarsi la vita sempre e comunque, in cui la scelta dei suoni delle chitarre è, per un volta, efficace e comunicativo. Unica canzone che seriamente merita è la conclusiva "Sono Qui Per L'Amore": forse autobiografico, regala immagini suggestive e malinconiche, accompagnate da chitarre con echo caldi e non invadenti e da un arrangiamento lineare e semplice. Questa, come anche i tre pezzi precedenti, dimostrano che il rocker di Correggio ha ancora grandi potenzialità nel regalare emozioni.
Primo e Secondo Tempo
Per completare il discorso su "Nome E Cognome" si devono citare i brani inediti inseriti nei due Greatest Hits usciti nel 2008 (Primo Tempo e Secondo Tempo). Cosciente forse dell'ulteriore passo falso di "Nome e Cognome", Ligabue tenta un'altro cambio di musicisti: vola in California e registra con turnisti statunitensi due pezzi, con alla produzione Corrado Rustici.
"Niente Paura" è l'ennesima canzone sul prendere la vita come va, eccessivamente sommersa dalle tastiere. "Buonanotte All'Italia" avrebbe potuto essere sui livelli emotivi dei migliori pezzi dell'artista emiliano, con un testo intenso ed impegnato: il finale letteralmente riempito di chitarre ultradistorte rovina tutta la magia della traccia.
Altri tre pezzi vengono registrati negli studi casalinghi di Correggio con dietro al vetro Corrado Rustici e Fabrizio Barbacci, e come strumentisti un misto di vecchi membri della Banda e di turnisti stutunitensi.
Il risultato è anonimo: arrangiamenti complessi e ben prodotti tolgono tutta la spontaneità, mentre i testi non regalano più gli spunti, a tratti poetici, dei lavori più recenti. Sia "Il Mio Pensiero" che "Il Centro Del Mondo" rientrano in questa tipologia, "Ho Ancora La Forza" si salva a malapena forse perchè scritta e prodotta a quattro mani con Guccini.
Conclusioni
Su tutto l'ultimo disco e sugli inediti pervade un alone di mestiere, di poco impegno, di poca spontaneità. Il nostro forse ha semplicemente subito un'altra evoluzione musicale spostandosi verso il pop e l'easy listening. Produzioni complesse, sommerse di archi e fiati, chitarre troppo stratificate o eccessivamente distorte fanno suonare il tutto anonimo. Easy listening appunto.
Questa cosa si lega un po' al lancio in grande stile del disco "Nome E Cognome", ai quattro palchi e al tour infinito: forse l'intenzione di fare un punto sulla carriera, pagando un "debito" ai musicisti che tanto hanno dato in termini musicali, per poi tirare un riga ed andare avanti.
Forse Ligabue è ormai un artista completo, decide lui quando e come far uscire pezzi "seri" circondandoli di riempitivi orecchibili, salvando sia i nuovi fans stile MTV e TRL sia i vecchi ascoltatori legati al mondo di Sogni Di Rock'N'Roll e di Bar Mario.
Forse ha semplicemente poche cose rimaste da dire e da raccontare: dopo otto album, un romanzo e due film la vena si è esaurita, la voglia di suonare in giro c'è ancora, l'odore dei guadagni pure, e allora si spalma il tutto su tempi e spazi ampi.
Forse ancora ora FA semplicemente il musicista, avendo coscientemente perso tutte quelle spinte, quelle tensioni emotive, quella capacità di trasmettere emozioni che lo facevano ESSERE un musicista.
Anzi, senza voler dare troppi giudizi sulle scelta artistiche (ricordiamoci sempre che se è arrivato dov'è qualcosa per la musica italiana lo ha fatto), sembra quasi che il successo, la popolarità, le vagonate di dischi vendute un po' si scontrino con l'immagine che il rocker, a volte volendo a volte no, ha dato di se.
In ogni caso, per dirla alla "emiliana", sono solo pare e pippe mentali inutili e fini a se stesse. Infatti, forse senza volere, il nostro ha dato una risposta semplice e diretta nel film Radiofreccia, facendo dire a uno dei personaggi: «Invece le canzoni non ti tradiscono. Anche chi le fa può tradirti, ma le canzoni, le tue canzoni, quelle che per te hanno voluto dire qualcosa, le trovi sempre lì, quando tu vuoi trovarle. Intatte.
Non importa se cambierà chi le ha cantate. Se volete sapere la mia delle canzoni, delle vostre canzoni vi potete fidare». Alla peggio quindi, aspetto la nebbia, carico gli amici, e mettendo "Ligabue" nel lettore mi preparo a ricantare a squarciagola quelle due strofe che mai mi stancherò di cantare: «Siamo qui, già le quattro e... Siamo qui».
Se siete arrivati fin qua, vuol dire che di pazienza ne avete avuta tanta, vi ringrazio allora della lettura!!
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