La tutela dell'opera d'ingegno: un bene o un male?

Scritto da robyz il 25/Jun/2009 alle 23:00

Sezione:

 

L'idea si paga?

Il principio è semplice, chi inventa qualcosa è come chi la produce; per quale motivo il secondo deve percepirne i risultati mentre il primo no? Anzi, se non ci fosse l'idea non ci sarebbe nulla da produrre per cui è scontato che c'è un merito nell'ingegno ed in qualche modo questo debba essere riconosciuto. Rincariamo ulteriormente la dose: quante persone vengono ricordate per aver prodotto qualcosa? Di solito si ricorda chi ha avuto l'idea, chi ha inventato, chi ha scoperto; perchè allora chi intasca il grano da secoli è chi produce?

La prima cosa che va detta è che il valore dell'opera d'ingegno è riconosciuto dalla notte dei tempi ma il problema è sempre stato far si che venisse tutelato dall'uso "non autorizzato" da parte di chicchessia senza che costui lasciasse una sostanziosa quantità di pecunia.

Riuscire a far rendere economicamente l'idea è un problema  risolto, ad esempio, inglobandone il costo nel prodotto finale in vari modi; quando compero una chitarra, di fatto una parte del prezzo va a coprire i costi che l'azienda sostiene per pagare i vari pezzi acquistati, un'altra parte va a remunerare i "diritti" sui brevetti che sfrutta per produrre da se alcuni componenti oltre, chiaramente, agli stipendi dei suoi ingegneri e progettisti.

Potremmo spostare il parallelo anche sul discorso della tutela artistica, in particolare della musica, l'arte che maggiormente risente della “copia non autorizzata” perchè si copia da sola ogni qual volta la si riesegue, ma per stavolta vorrei restare nel campo della tutela d'ingegno e non del diritto d'autore.

Tutto andava a meraviglia a quanto pare; si inventava, si costruiva e si pagavano per meriti tutti i partecipanti... Il problema della tutela si è ripresentato oggi con maggior vigore a causa di una strana anomalia: mentre prima l'invenzione aveva una sua vita come fase preliminare ed una fase produttiva dove veniva fuori qualcosa di concreto e tangibile ('nzomma, un qualcosa che aveva un peso ed occupava spazio fisico), oggi l'invenzione dà origine a qualcosa che resta astratto e che necessita, per essere fruito, di un mezzo che di per se non è nulla se non un contenitore.

Ovviamente parlo del software ma l'esempio non è esaustivo, potremmo parlare di musica eseguita e registrata come di documenti o tecniche d'opera.

Il cambio di prospettiva

Ma a questo punto mi viene da pensare che forse l'attuale sistema non sia più adeguato a gestire qualcosa che per la maggior parte non risponde più ai criteri ed alle esigenze che lo hanno generato, di fatto molte cose sono cambiate da qualche decennio a questa parte:

  1. L'avvento digitale rende quasi tutto sfruttabile e replicabile in economia, non si hanno più costi di produzione variabili (quelli legati a ciascun pezzo prodotto) ma solo un investimento iniziale, di fatto si sta facendo in modo che non costi nemmeno il supporto (lo scarico e lo copio nel mio disco, disco che ho pagato io!)

  2. La società evolve con ritmi estremamente più serrati, quel che vale oggi, domani non sarà più tanto vero e dopodomani sarà scomparso

  3. Le informazioni sono accessibili a livello globale e produrre non è più legato all'innovazione tecnologica intesa come idee esclusive, di conseguenza è impossibile essere fra i pochi capaci di produrre qualcosa per più di un brevissimo lasso di tempo prima che tutto il resto del mondo sia in grado di adeguarsi e migliorarlo.

Uno scenario fantascientifico?

Alla luce di queste considerazioni, ma se ne potrebbero fare molte altre, vi faccio il mio scenario:

Io invento qualcosa, mi organizzo per produrlo, pago chi devo pagare, compro parte delle idee che mi aiutano a realizzarlo meglio e lo vendo ad un prezzo che calcolo ipotizzando di incamerare profitti per un certo periodo di tempo. Superato questo periodo mi aspetto che un numero sempre maggiore di concorrenti sia stato in grado di prendere la mia idea e (ri)produrne una copia a prezzi più vantaggiosi; in questo lasso di tempo io avrò già incamerato abbastanza profitti che avrò (re)investito per migliorare la mia idea ulteriormente o per trovare qualcosa di innovativo.

Dal punto di vista dell'utente si ha un prodotto innovativo che costa molto solo in un primo periodo e col passare del tempo costa sempre meno, in pratica si hanno diverse ondate di innovazione (generazioni) con prezzo proporzionalmente più basso, che ad ogni ciclo successivo scende e si allarga alle utenze in modo sempre maggiore...

Ok, quello che ho descritto in realtà esiste già; nella tecnologia di consumo è una realtà affermata ma in tutto questo la differenza sta proprio nella tutela dell'ingegno: semplicemente non c'è!

Il brevetto nasce per cercare di allungare maggiormente questo lasso di tempo in modo da permettere all'azienda di incamerare più profitti rimandando artificiosamente il momento in cui potranno entrare in gioco i concorrenti con le ondate di innovazione successive.

La cosa può anche andare bene per un certo modo, di fatto un minimo di tempo per recuperare i maggiori costi di chi inventa rispetto a chi meramente copia ci deve essere. Questo tempo deve essere però ben soppesato per equilibrare le parti, per far sì che non ci sia una netta convenienza nel copiare piuttosto che nell'inventare ma che i due compiti siano bilanciati.

Chi innova e chi copia?

Mi spiego meglio: è palese che se nessuno inventasse non ci sarebbe nemmeno nulla da copiare per cui è normale che non si debba scoraggiare troppo chi inventa; tuttavia è anche vero che l'utenza è divisa in fasce d'acquisto che diventano esponenzialmente più numerose man mano che si abbassa il loro potere d'acquisto (leggasi: c'è un Bill Gates, 10 ricchissimi, 100 mezzi ricchi, 1.000 benestanti, 10.000 quasi poveri, 100.000 poveri), è quindi lecito aspettarsi che il bacino d'utenza per un prodotto fortemente innovativo (e costoso) sia molto limitato, mentre la diffusione di un prodotto di seconda o terza generazione possa soddisfare (ed essere acquistabile da) un maggior numero di persone.

A questo punto è normale pensare che si debbano incoraggiare pochi innovatori che faranno profitti su numeri piccoli, mentre classi via via sempre più votate ad economizzare possano pian piano proporre a fasce sempre maggiori di persone i loro prodotti più economici.

C'è anche da dire che tutelare eccessivamente chi inventa può avere un effetto negativo sul sistema: permettere di poter godere di profitti di rendita per lunghi periodi non incoraggia di certo a darsi da fare ulteriormente ma probabilmente convincerà gli eventuali inventori che è meglio la politica del “colpaccio” da godersi per il resto della vita piuttosto che una carriera fatta di impegno costante e costante miglioramento.

Di fatto esistono molti esempi di invenzioni che hanno dato origine a brevetto e che per decenni non hanno portato significativi sviluppi ulteriori (si veda ad esempio il campo della medicina dove vengono costantemente introdotti farmaci variati in minima parte ma con lo stesso principio attivo e stessi effetti del precedente) mentre è sotto gli occhi di tutti che, in campo software, ove si è maggiormente incapaci di tutelare l'opera d'ingegno, il progresso proceda per diversi ordini di grandezza più spedito.

Non solo: un brevetto costa parecchi soldi e non tutela minimamente chi non ha potere economico contro chi è in grado di permettersi tempo e soldi per soffiarlo al concorrente (il caso di Meucci e Bell è un lampante esempio storico) magari giocando sul filo della legalità, proponendo varianti minime ma brevettabili e altri stratagemmi simili che non sono certo cose che portano vantaggi alla comunità ma semplicemente ai soliti furbi.

Senza contare gli speculatori che registrano idee o marchi per tenerli in un cassetto in attesa che qualcuno proponga qualcosa di simile e di successo per poi andare a battere cassa a suon di cause civili o, peggio ancora, quelle Compagnie che acquistano brevetti innovativi per impedirne la diffusione che causerebbe loro uno squilibrio sulla loro posizione nel mercato -

Esempio ipotetico e nemmeno tanto: immaginate una compagnia telefonica che detenga i diritti sulle frequenze per la connettività senza fili; invece di costruire un'infrastruttura preferisce bloccare l'idea (che non possono sfruttare gli altri concorrenti) per continuare a costringere l'utente ad usare il sistema UMTS che garantisce più margini di profitto.

Ulteriormente, il diritto del marchio, per come funziona oggi, da' ampi margini all'azienda di svuotare qualitativamente il proprio prodotto senza perdere valore percepito e di fatto consente di incamerare margini altissimi. Detto in parole povere: siamo talmente abituati a dare fiducia al marchio, che ormai compriamo ciò che è caro in quanto tale e non perchè di qualità.

Un esempio d'avanguardia

Ultimo esempio, come ho già riportato altre volte, l'open source è un modello di business che si è rivelato, oltre che eticamente ottimo, anche economicamente vantaggioso, di fatto è un business che può reggersi sulle proprie gambe e consentirebbe una maggiore distribuzione delle ricchezze (non hai una multinazionale che accentra conoscenza e profitti ma un sistema di sviluppo localizzato che porta profitti alle singole realtà locali) oltre che la maggiore circolazione delle idee che per definizione è un arricchimento per tutta la comunità.

La mia provocazione è che oggi non ha più senso pensare in termini di secoli o decenni per tutelare diritto d'autore o opera d'ingegno. Occorre più flessibilità e sicuramente tempi di vita molto più brevi, proporzionati ai veri tempi di evoluzione per ciascun campo, in modo che ci sia la condivisione delle idee e che i vantaggi dell'essere i primi ad averle diano un incentivo a fare di più ricadendo a pioggia anche sugli altri dopo un tempo ragionevole.

Voi che ne pensate?

Robyz