La tutela dell'opera d'ingegno in campo artistico

Scritto da robyz il 20/Aug/2009 alle 08:45

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Nel precedente articolo ho proposto un modello che non prevede una tutela delle invenzioni tramite brevetti o per lo meno che riduca drasticamente la durata massima di questo genere di "vincoli artificiali", sostenendo che questo non distruggerebbe l'interesse ad innovare ma che probabilmente lo rinnoverebbe ulteriormente.

Oggi vorrei applicare lo stesso principio ai cosiddetti diritti di sfruttamento dell'opera ed in particolare nel campo musicale... premetto subito una cosa: non sto proponendo soluzioni nuove o chissà quale formula segreta, ho guardato in giro e già molti artisti stanno seguendo una nuova strada e ritengo che valga la pena parlarne, conoscerla meglio e capire se è o non è una buona strada.

Solite premesse

Il sistema economico attorno al quale ruota la musica attuale è letteralmente devastato dall'avvento dell'era digitale. Doveva essere un mezzo rivoluzionario che avrebbe permesso la diffusione della musica in modo mai immaginato prima, beh, difatti questo è avvenuto ma sfortunatamente per chi di musica ci campa (e non mi riferisco agli artisti ma principalmente a chi li produce).

Non è avvenuta nel modo in cui speravano, ovvero portando di pari passo alla diffusione anche un aumento delle vendite, anzi, in proporzione le vendite sono crollate e con esse si è instaurato un circolo vizioso che ha fatto crollare gli investimenti nelle produzioni portando sempre meno soldi nelle casse delle labels.

Di conseguenza facendo diminuire il numero di produzioni riducendole alle poche, basate su grandi numeri, che potevano garantire un ritorno economico.

Uno dei principi su cui gira l'industria discografica è quello che prevede un mix fra investimenti a basso rischio e e quelli ad alto rischio.

I primi sono rappresentati dalle produzioni di successo, artisti affermati capaci di attrarre grandi numeri (Madonna, i Metallica, U2 per l'estero, Vasco, Ramazzotti, Pausini, Elisa per l'Italia, per citare qualche nome a caso) su cui puntare molti soldi per produzioni di qualità (intesa come tecnica, marketing, prodotto, la qualità artistica facciamo finta di non considerarla per il momento) che andranno a saturare tutti i canali di diffusione possibili (radio, tv, tour spettacolari) contando di persuadere molto pubblico col bombardamento a tappeto.

I secondi sono gli artisti emergenti, i nuovi talenti, quelli che hanno le potenzialità (o almeno secondo la casa che decide di produrli) ma non hanno un nome: su questi si punta molto meno, si cerca di collocarli su una nicchia o si trova il modo di farli emergere grazie a strategie molto audaci che, essendo ad alto rischio, possono funzionare ma anche essere un fiasco clamoroso.

Questo sistema permetteva alle case di incamerare alti profitti sugli investimenti a basso rischio, profitti che potevano essere reinvestiti nei piccoli artisti, che spesso si rivelavano non redditizi se non a lungo termine quando i pochi che riuscivano ad emergere diventavano "grandi numeri".

E' un po' come giocare alla roulette: punti poche fiches su molti numeri, la maggior parte saranno soldi persi ma se esce anche un solo di questi si riuscirà a pagare anche le altre perdite.

È chiaro che meno soldi si incamerano dai gradi numeri e meno ne restano da reinvestire per i nuovi artisti, ed è quello che sta avvenendo oggi, pochissimi investimenti, ricerca ossessiva di successi immediati da sfruttare al massimo, pochissima attenzione alla qualità della musica.

Cosa è andato storto?

L'avvento dell'era digitale, di Internet e soprattutto del peer to peer, volgarmente parlando di Napster e dei suoi successori, ha di fatto permesso di aumentare in modo esponenziale la condivisione della musica.

E' vero che fin dagli anni 70 ci si scambiava i dischi fra amici e conoscenti: io avevo pacchi di cassette Maxell con un sacco di musica copiata da amici e conoscenti ed altrettante compilation prese dalla radio, ma avevo anche un sacco di vinili originali, diciamo in rapporto 2:1.

Se vogliamo era anche un ulteriore canale promozionale perchè dei nastri duplicati non ci si accontentava quando il disco era per esempio In Rock o Made in Japan del Deep Purple o Live After Death dei Maiden e alla fine si andava a comprare il disco originale.

Tuttavia questo meccanismo è stato spinto fino all'estremo dai nuovi mezzi tecnologici: prima potevi scambiare dischi con qualche decina di amici, forse un centinaio.

Ricordo che c'erano i soliti "imprenditori furbi" che riempivano di annunci i vari mercatini ed offrivano le loro cassette duplicate per poche migliaia di lire e che forse potevano raggiungere qualche centinaio di persone, ma erano sempre duplicazion di qualità bassa, deteriorabili col tempo e degradate notevolmente ad ogni copia di copia.

Oggi il CD lo duplichi quanto ti pare (tecnicamente il CD copiato non è davvero 100% fedele all'originale ma di sicuro il degrado è difficilmente avvertibile prima di molte copie), meglio ancora un mp3 che copi all'infnito senza nemmeno spendere i soldi del supporto vergine.

Di pennino in pennino il singolo brano riesce ad arrivare agli amici di amici di amici di amici... inoltre il canale del p2p, ma anche la posta, i blog, i social network come faccialibro ecc. consentono di raggiungere non più le poche decine di persone ma milioni e milioni con le ovvie conseguenze che su 10 dischi venduti ci sono magari 10 milioni di persone che vi possono avere accesso.

Ovviamente le case discografiche non ci stanno a questo gioco e da tempo hanno dichiarato guerra al p2p in modo più o meno etico e forse pure illegale (sarà mica legale mettere una tassa come "rimborso preventivo sulla possibile pirateria" su qualsiasi supporto vergine in vendita, e stanno tentando di farlo pure su pennini e abbonamenti ADSL, ci chiedono un risarcimento sulla presunzione di reato, ma uno dei diritti fondamentali di qualsiasi Paese civile non è proprio la presunta innocenza?), incattivendo via via le loro azioni e dando proprio l'impressione di vedere una bestia che diventa via via più furiosa e aggressiva capendo che sta per soccombere.

Una questione di status quo

Di fatto l'industria discografica odierna ha il suo baricentro non sull'artista come è lecito pensare ma sulla casa discografica. Il prodotto musica principale è il disco e lo sfruttamento dei diritti che esso da (i diritti non arrivano solo sulle percentuali di vendita dei dischi ma sulle più svariate voci, a partire dalle esibizioni dal vivo, l'uso come suonerie dei cellulari, nei film, in produzioni di vario tipo e così via) e chi incamera la maggior parte dei profitti è la casa discografica (è anche quella che spende per la produzione, la promozione ecc.).

Paradossalmente l'esibizione dell'artista non è un guadagno ma una spesa, i grandi tour al pari delle apparizioni in radio o in tv o tutto il gossip sono dei mezzi per promuovere il disco che rimane il centro del profitto per il discografico che poi è anche chi gestisce la vita professionale dell'artista.

C'è chi dice no

Qualcuno si oppone a questo, semplicemente ci si è resi conto che un sistema organizzato in questo modo non funziona più. Se il disco non è più un profitto è banale pensare che è il momento di spostare il fulcro di tutto su qualcos'altro e quel qualcos'altro è ad esempio lo spettacolo (come del resto è sempre stato fin dalla notte dei tempi prima dell'invenzione dei supporti di registrazione): se ci pensate è l'uovo di Colombo, l'artista smette di produrre dischi per venderli ma li usa per promouoversi.

Potrebbe farlo a costi molto bassi perchè oggi si possono fare prodotti di gran qualità con pochi soldi, la diffusione è più facile coi nuovi mezzi, costa poco ed è fortemente legata alle capacità dell'artista di essere unico (del resto è esattamente quello che si pretende da un artista di successo!).

Il profitto poi viene dalle serate, dallo sfruttamento dell'opera nella sua esecuzione live ma anche dall'uso professionale (inclusione in colonna sonora, giochi, suonerie, riproduzione radiofonica ecc. cover da parte di altri gruppi).

Naturalmente continuano a fare profitti anche le case discografiche ma in modi nuovi, facendo servizio di promozione (sono specializzate in questo, non sarebbero più etichette discografiche ma agenzie di marketing), gli studi di produzione sarebbero pagati dagil artisti ne più ne meno di come si farebbe per qualsiasi impresa che richiede un servizio ad un fornitore.

Quello che cambia è che l'artista torna ad essere il centro della sua musica, quello che la gestisce, che ne decide le sorti, che rischia di suo ma ne raccoglie anche i frutti ai vari livelli. Gli altri tornano ad essere quello che dovrebbero essere: fornitori di servizio.

Di fatto ho ribaltato i ruoli, ciò che è un costo diventa un profitto e ciò che era un profitto diventa un costo, e di fatto al momento non annullerebbe la pirateria ma solo gli effetti negativi che hanno sull'economia. Ovviamente se tutto fosse così semplice non staremmo qua a parlarne come di un'ipotesi ma staremmo già assistendo a questo passaggio.

Tuttavia c'è un "MA" grosso come una casa: ribaltando il sistema si manda all'aria un equilibrio che ha inerzie enormi: nessuna casa discografica vedrebbe di buon occhio l'idea di perdere il suo profitto e soprattutto il suo peso nel mercato quindi è ovvio che per quanto un artista possa trovare interessante questo, è chiaro che il suo manager farà di tutto per impedirglielo.

Del resto abbiamo già visto l'opposizione che in alcuni settori si è fatto per impedire un cambiamento del sistema vigente (penso ai notai, gli avvocati ma anche ai tassisti o i camionisti che misero in ginocchio l'Italia, per non parlare dei provider di telefonia o delle multinazionali del petrolio).

Eppure anche qualche nome grosso sembra averlo capito. Recentemente Vasco ha commentato che per la prima volta gli incassi del tour hanno superato quelli delle vendite dei dischi: la fecero passare come una notizia negativa, ennesimo tentativo di demonizzare la pirateria, ma credo che lui non ne sia del tutto dispiaciuto visto che proabilmente intasca una percentuale ben superiore dagli ingaggi dei concerti.

Molti altri musicisti sfruttano da parecchio tempo lo strumento del p2p per diffondere la loro musica, soprattutto gli emergenti (l'abbiamo fatto anche col mio vecchio gruppo e nel nostro piccolo ha funzionato) ma anche dei grossi nomi che generalmente sono anche autoprodotti e quindi non si ritrovano ad essere ostacolati da nessuno se non dai loro stessi preconcetti.

In conclusione

Penso che sia inevitabile uno stravolgimento del mercato discografico e credo che le major siano destinate a rinnovare completamente il loro business o ad estinguersi definitivamente. Penso che il prodotto disco non abbia più ragione d'essere e debba essere considerato semplicemente un bene accessorio del prodotto principale che è l'esecuzione. Avrei altre considerazioni da fare ma mi fermo qui.

Mi piacerebbe sentirei vostri pareri e, rendendomi conto che ho scritto delle cose un tantino fuori dagli schemi, soprattutto le vostre critiche.

Robyz