Led Zeppelin IV

Scritto da ZosoSuperStar il 16/May/2008 alle 16:51

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Sono passati tantissimi anni da quando ne venni in possesso e ancora di più dall’anno di pubblicazione, il 1971, ma ricordo benissimo cosa mi successe quando nel mio misero impianto AIWA, schiacciai il tasto Play.
La canzone che mi fece comprare tutto l’album fu "Stairway To Heaven": dentro di me c’era l’ ingenua inconsapevolezza di quanto fosse grande l’oggetto che  avevo tra le mani così, quando in attesa di Stairway To Heaven, quarta traccia nell’ordine del disco, partì Robert Plant con l’ormai leggendario” Hey, Hey, mama, said the way you move, Gonna make you sweat, gonna make you groove!”  di "Black Dog" sobbalzai dalla sedia. Nel turbinio dell’emozione venni poi definitivamente messo “ko” dal rif della chitarra di Page e dal potentissimo sostegno della Band al completo.

La Batteria di John “Bonzo” Bonham seguiva sul rullante tutti i primi sette colpi di plettro di Page dando la mia definitiva consacrazione ai Led Zeppelin come miglior band Rock mai sentita prima. Questo non toglie nulla agli altri grandi gruppi come ad esempio i Deep Purple, ma resta il fatto che i Led Zeppelin non hanno subito nessuna variazione di formazione ed hanno collaborato, fin quando possibile, sempre con la stessa grande e spudorata eleganza.

La traccia due, lascia poco all’immaginazione, il titolo è “Rock and Roll”.
Questo è quello che ho pensato dopo aver letto il retro di copertina così, dopo un respiro profondo, il mio Aiwa, riprese di nuovo col volume al massimo.
Nemmeno tre secondi che devo ricredermi.
John Bonham introduce quello che per me sarebbe dovuto essere un “classico” pezzo alla Elvis Presley, con 7 secondi di batteria a Charleston aperto, con un tempo tutto suo che ad oggi, quando con la mia Fender Stratocaster Vintage 70 cerco di entrare in contemporanea con la band ancora mi inganna.
Coralmente il gruppo, che in questa circostanza sembra composto da un innumerevole numero di elementi, entra con un riff tanto semplice quanto graffiante, girando attorno agli accordi del “Rock and Roll” in una chiave a dir poco innovativa.
La voce di Plant, forse la voce migliore del secolo scorso, rende tutto ancora più grande, più vero, più Rock. 
Il sostegno perfetto della band che entra ed esce tra soli, riff e stacchi mastodontici, viene supportato nella seconda parte del pezzo, da un pianoforte che innalza ancora di più il groove del brano, ed aumenta ancora di più l’adrenalina che si accumula sui reni di chi l’ascolta, mettendo meglio in evidenza la voce e ricordando a tutti, che quello che si sta ascoltando è Rock and Roll!

Mi fermo, penso che sia il caso di riprendersi un attimo, ma questo sentore non è solo mio, infatti la terza traccia “The Battle Of Evermore” è un capolavoro di delicatezza e sovrapposizione musicale.
Il brano inizia quasi sfumando e la cosa che mi colpisce non è l’assenza di batteria, di basso, organo o di chitarra, ma un mandolino che incalza con un riff che crescendo cattura  l’attanzione ed accompagna il brano per tutti i suoi 5 minuti e 52 secondi.
Mi rendo conto di quanto sia diversa da quello che ho sentito fino a pochi minuti prima, di quanto sia ipnotica e ricca di un sostegno, penso che ufficialmente non ha nulla a che vedere con il Rock, ma a questo punto mi arrendo; mi sale addosso la consapevolezza che i Led Zeppelin sono quattro entità individuali probabilmente appartenenti ad un pianeta diverso dal mio, dove la composizione organica non è solo a base di sangue come da noi, ma di sangue e musica, perché quello che esce da questo straordinario pezzo, è qualcosa di più di una semplice canzone.
Mettere in musica un concetto è una cosa estremamente complessa, metterla in pratica in quella maniera è quasi soprannaturale.

Arriva finalmente "Stairway To Heaven", l’indiscusso capolavoro dei Led Zeppelin.
Quando si ascolta una canzone come questa, si ha la sensazione di non essere soli nella stanza, ma di essere circondati da Angeli, che per 8 minuti e 3 secondi, fluttuano sorridenti e candidi come la neve.
Ascoltando Stairway si sogna.
Si sogna di essere Jimmi Page durante l’assolo, ma anche Plant, Paul Jones, Bonham, insomma a turno tutti i quattro Zeppelin, sale addirittura il convincimento di essere invincibili, quasi immortali.

Torno con i piedi per terra quando inizia la traccia cinque, “Misty Mountain Hop”, forse la canzone più particolare del disco, dove tutto è nelle mani della voce che sale e scende attraverso i vari cambi di tempo. Se pur ipnotica, esce un pochino dagli schemi divenendo forse meno attraente delle quattro che la precedono, ma resta il fatto, che un qualunque pezzo meno attraente dei Led Zeppelin, è in ogni caso  l’equivalente di un buon pezzo suonato da una qualsiasi altra Rock Band.

Paranoica e incalzante è la sesta traccia, “Four Sticks”, riferito a quando durante una session, “Bonzo” Bonham ha suonato la batteria tenendo due bacchette per mano.
La canzone, relativamente breve, ha nel riff il suo punto di forza: il tempo sembra quasi sincopato e nel momento degli stacchi, non si riesce a fare a meno di muovere le braccia simulando di avere una chitarra tra le mani.
I Led Zeppelin sono questo, una danza viscerale ed inconscia che come un vento fortissimo si porta dietro tutto quello che raccoglie per la strada.

La settima traccia è una perla di stile, bravura nell’esecuzione e calma.
La chitarra, finemente scordata in Re nella sesta corda, arpeggia mescolandosi con un mandolino, strumento non nuovo ad essere inserito nei loro brani.
Ricordo l’effetto che mi fece.
Come dopo una grande corsa "Going To California" fu il meritato momento di relax, momento in cui, sdraiato sul mio letto, con le mani dietro la testa, capii definitivamente che le mie doti  non avrebbero mai potuto portarmi a saper realizzare un opera come quella o come quelle che la precedevano, ballate così ricche di sentimento ed emozione  ma scoprii in me  la meravigliosa capacità di saperle ascoltare ed emozionarmi e, se pur diversa,  ritengo questa  capacità una fortuna e di conseguenza un’altra gran bella dote.

L’ultimo brano, “When the Levee Breaks”, è la perfetta cornice che racchiude quello che, se fosse un quadro, sarebbe certamente l’ennesimo capolavoro di un genio quale Leonardo Da Vinci, che se pur lontano nella forma d’arte e nel periodo storico era, come i Led Zeppelin, un innovatore, uno sperimentatore ed un essere unico nel suo genere.
L’introduzione prettamente strumentale, dove la batteria e l’armonica danno la cadenza facendo sembrare la canzone quasi una marcia, si lasciano ascoltare sobriamente introducendo la straordinaria voce leggermente effettata di Plant.
La testa di chi ascolta, come il piede, non possono rimanere ferme e se prima di questo pezzo, istintivamente mi era venuto da suonare una chitarra,  adesso sono seduto intento a tenere il tempo come un batterista, perché questa canzone è un vero muro in quattro quarti che non lascerebbe indifferente nemmeno il più grande estimatore di musica classica di tutti i tempi.

I Led Zeppelin e Led Zeppelin IV non sono una band ed un disco... sono un esperienza  che consiglio vivamente di fare a tutti.

ZosoSuperStar