Paolo Andriolo - Rio Funk

Scritto da arcureo il 13/Jan/2010 alle 17:30

Sezione: Artisti

 

L'intervista

Alessandro Arcuri: visto che il tuo percorso musicale ti ha visto passare per un sacco di generi, dalla fusion, al reggae, come sei approdato alla musica brasiliana?
 
Paolo Andriolo:  In realtà è un percorso evolutivo, io son stato sempre attratto dalla musica black, nel senso che ho iniziato col blues e sono poi approdato anche un po' per forza di cose al jazz; però sai suonando il basso elettrico è un po' difficile entrare nei circuiti del jazz tradizionale e quindi ho cercato di crearmi un po' uno stile, un sound personale.

Sono sempre stato attratto, appunto, dalla black music per cui anche dal funk, ed è un po' con quel genere che sono venuto fuori. Io ho iniziato a sedici anni a suonare il basso seriamente. Era il periodo fine anni 70, inizio 80, proprio il periodo dell'esplosione della disco, se vogliamo... mi è sempre piaciuto quel mondo là.

Poi c'è stata negli anni 90 questa evoluzione della musica brasiliana; io sono partito con quella più recente, cioè non con la bossa nova o quella più tradizionale come il samba; ho avuto un approccio con la musica di Djavan, di GIlberto Gil, che sono autori contemporanei.

Poi, parallelamente a quella ho continuato il mio percorso col reggae, cioè sempre musica black, tra virgolette, e alla fine in questi ultimi anni, la forte attrazione verso la musica brasiliana mi ha portato a decidere di intraprendere un lavoro personale sul Brasile, proprio.
 
AA: per cui è un qualcosa di per metà spontaneo e per metà pensato, come avvicinamento.
 
PA: Si, un po' si, e uno dei motivi è che vivo una parte dell'anno in Brasile e questo mi ha permesso di suonare con musicisti molto importanti nel panorama musicale brasiliano, fra cui Toninho Horta e Helio Delmiro, che sono chitarristi considerati capostipiti, specialmente Horta.

Dopodiché ho deciso come di sintetizzare questo mio background in questo disco in cui ho messo alcuni brani di mia composizione e altri di cover, tra virgolette, perché erano sì cover ma mai di brani troppo conosciuti.
 
AA: ancora devo ascoltarlo ma già noto che in un brano c'è Arthur Maia, per cui mi immagino ci sia un duetto di bassi.
 
PA: Si, quello è un brano mio che veniva bene anche solo suonato con basso, batteria e percussioni, per cui ho invitato lui a fare un solo col fretless.
 
AA: Ah per cui tu hai un ruolo ritmico e lasci a lui l'assolo, o cosa?
 
PA: Io ho scritto il tema e faccio la parte ritmica e il primo solo, e ho lasciato a lui il secondo. Poi in un altro brano ci sono gli Azymuth, un gruppo storico di jazz strumentale brasiliano che ha avuto il suo momento a fine anni 70, inizio 80. Io sono legato da una particolare amicizia col batterista Ivan Conti, e avevo scritto un brano, che è poi quello che da' il titolo all'album, Rio Funk, e che secondo me si addiceva molto a loro. Loro hanno già il bassista, però siccome suona anche la chitarra gli ho detto, parlando con tutti e tre "cosa dici se facciamo un brano mio e tu ci suoni la chitarra?". Hanno accettato e siamo andati in studio registrarlo, finché ero lì a Rio.
 
AA: a proposito di Rio, hai notato che l'ambiente musicale, laggiù, è più fertile di quello italiano, oppure certe occasioni le hai avute perché eri già dentro quell'ambiente, come "addetto ai lavori", diciamo...?
 
PA: guarda, la prima volta che sono stato in Brasile ho conosciuto Arthur Maia, e lui mi ha permesso di conoscere proprio la crema dei musicisti, se vogliamo chiamarla così. Per dire, su un altro brano del CD, "A Noite", che è un brano di Ivan Lins, ho chiamato proprio il suo sassofonista, Marcelo Martins, un grandissimo musicista che ha suonato anche con Djavan, con Gilberto Gil. Compare come ospite su questo brano che ho in realtà registrato in Italia, registrando poi solo l'assolo di sax in Brasile. Poi c'è Luma, una grandissima cantante, per me strepitosa, a cui ho deciso di far cantare tutti i brani.
 
AA: Con tutto questo avanti e indietro fra Italia e Brasile, e contando poi che le realizzazioni più grandi le hai avute lì... alla fine cos'è che ti spinge a tornare?
 
PA: mah, guarda, io non è che sia uno di quelli che dice che qua fa tutto schifo; secondo me anche in Italia c'è una realtà interessante, dal punto di vista del lavoro, che mi appaga tantissimo. Però lo stesso sono tre o quattro anni che sto provando a vivere sia quì che là (in realtà in Brasile ci sto circa quattro mesi all'anno) ed è questo che mi permette di approfondire la mia conoscenza della musica brasiliana.

 

 

Più che altro perché sto a Rio, che è la città dove c'è proprio la tradizione di base dello Chorinho, del Samba, della Bossa Nova... forse, parlando di quantità di lavoro nel sottobosco musicale che è quello dei club, lo sarebbe quasi più San Paolo, ma insomma Rio è un'altra cosa. A Rio c'è proprio una mistura, perché il Brasile non è solo Bossa Nova o Samba tradizionale. Per dire, uno dei brani che ho messo nel CD, "Tudo Que Você Podia Ser", un brano di Lô Borges, ha un'atmosfera che ricorda molto il nostro rock progressivo.

Poi c'è "Milagreiro", un brano di Djavan molto gitano, se vogliamo, c'è Arcoverde, che è una bossa e che ho scritto io, c'è Boneka, un altro brano mio che ha un aspetto molto interessante per via delle percussioni registrate in una favela di Rio. Ho fatto partecipare un'associazione che si chiama Afroreggae e che aiuta i bambini ad uscire dal narcotraffico attraverso la musica, ed una parte del ricavato del CD la do' a loro. Il brano ha una sonorità mista tra il samba e il samba reggae che è un genere musicale che si è sviluppato a Bahia cove c'è la componente nera più numerosa del brasile.
 
AA: a proposito di questo aspetto, immagino che come ogni progetto non prettamente commerciale, la produzione di questo disco sia stata una strada tutta in salita.
 
PA: diciamo che è un disco che è costato parecchio, ma che è stato totalmente autoprodotto, proprio per scelta, per avere la massima libertà dall'arrangiamento alla scelta del brani, della copertina, della grafica
 
AA: e non è un po' la maledizione della musica non commerciale (indipendente), quella di dover sempre arrangiarsi?
 
PA: diciamo che avrei avuto anche delle opzioni ma ho preferito fare così. Adesso le etichette, siccome non vendono, ti offrono magari di acquistare la proprietà del master e poi ti danno tipo duecento copie in omaggio. Io preferisco stamparmi le mie 2000 copie (per adesso la prima tiratura è stata di 2000 copie) e arrangiarmi per conto mio e con la distribuzione digitale, per esempio ho già chiuso il contratto con iTunes e nol giro di un mese dovrebbe essere disponibile per il download. 
 
AA: come ultima cosa... ricordo che quando eri "esploso" qui a Padova, come bassista, eri famoso per il tuo virtuosismo, ora però ho notato, anche semplicemente sentendoti suonarealla jam session, un ritorno ad un ruolo bassistico più tradizionale, più "dritto".
 
PA: secondo me con la maturità si tende a suonare meno, a rispettare più le pause. Ho più questa filosofia, adesso, e anche se mi piace comunque il jazz e l'improvvisazione la mia filosofia è più orientata meno verso la tecnica e più sul sentimento.
 
AA: hai curato anche gli arrangiamenti del disco?
 
PA: si si, li ho fatti tutti io, a parte i fiati che ci sono in due brani, arrangiati da David Boato, visto che ci ha suonato anche lui. La parte musicale è comunque tutta farina del mio sacco.

Rio Funk

Dopo tutti questi anni di illustri collaborazioni era quasi d'obbligo un disco che portasse finalmente la firma di Paolo. L'uscita di un lavoro personale di un musicista turnista, di un sideman, però, è spesso a rischio di non rivelarsi all'altezza delle aspettative.

Capita diverse volte di accorgersi come un famoso bassista dia il meglio di sé quando suona la musica di altri autori, e nei dischi a proprio nome fatichi ad essere convincente dal punto di vista compositivo o -peggio- frani nell'auto-indulgenza con esercizi virtuosistici magari un po' sterili. Invece Paolo, già dal primo pezzo fuga ogni possibile timore, offrendo in apertura un brano originale, fresco e orecchiabile anche se per nulla banale.

Io stesso mi sono scoperto a canticchiare la melodia di "Barata Ribeiro", infatti, dopo solo un paio di ascolti. (Fra l'altro il tema, eseguito dal basso, è doppiato anche dallo scat singing di Paolo, per nulla invadente). La chicca del brano è -come già detto nell'intervista- la presenza di Arthur Maia, uno dei più quotati bassisti brasiliani.

Già nel brano successivo si impone un'altra presenza molto forte e caratteristica di tutto l'album, La voce caldissima della cantante Heloisa Lourenço, detta "Luma", che anche se meno "illustre" di alcune delle altre collaborazioni presenti sul disco, non può certo passare inosservata.

Se nei primi dei pezzi che la vedono protagonista ("Boneka" e "Rio Funk", sempre firmati da Andriolo) si fa notare per la sua vivacità ed energia, è comunque capace di risultare anche intensa e malinconica (come ci si aspetterebbe da un'artista brasiliana, del resto) nella successiva ballad "A Noite".

Per rendere omaggio alla musica e al paese che ormai da anni fa parte integrante della propria vita, il nostro Andriolo infila poi una serie di cover (a partire da "A noite", appunto) di artisti brasiliani. Come ha avuto occasione di puntualizzare nella chiacchierata fatta insieme a me, non sono stati scelti brani particolarmente "ovvi" o conosciuti e l'effetto (probabilmente voluto proprio da Paolo) è che si evita di ritrovarsi con un disco troppo prevedibile e uguale a sé stesso, con una compilation trita e ritrita dei "soliti" pezzi di musica brasiliana, basti pensare a "Milagreiro" di Djavan, che ha un sapore addirittura gitano, dato dall'accordeon che accompagna il tema.

La presenza sul disco di numerosissimi ospiti, anche di elevatissima caratura (come già detto, Arthur Maia, gli Azymuth, Marcelo Martins) non arriva ad essere eccessiva ed in qualche modo a coprire la voce strumentale di Paolo, sempre molto incisiva sia negli accompagnamenti che nei soli, non esclusivamente sul basso elettrico ma anzi anche sul contrabbasso, come nella composizione originale "Arcoverde".

 Nonostante una produzione eseguita a spizzichi e bocconi fra l'Italia e il Brasile, portata avanti -come lo stesso Paolo ha puntualizzato- cogliendo ogni occasione buona per trovare contatti, provare e registrare, e che forse ha reso un po' più difficile una uniformità sonora dell'intero album, Rio Funk è un disco che merita di venire esaurito prima possibile e di conseguenza di strappare un nuovo contratto di stampa e distribuzione. La cosa più probabile è che  ciò accada in Brasile, ma non sarebbe male se per una volta un'etichetta italiana si dimostrasse lungimirante e si facesse avanti.

Alessandro Arcuri