Gary Moore - Sangue d'Irlanda, una canzone Blue

Scritto da L27 il 10/Feb/2011 alle 12:30

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Cosa si può dire di un chitarrista che vi ha cambiato la vita?

Che vi ha indotto a impossibili quanto sfrenate esibizioni di "air guitar" prima e poi a fare tardi la notte con la porta chiusa e le mani sempre sulla chitarra elettrica (spenta), nella speranza che i genitori non venissero svegliati dallo strano sferragliamento udibile nel silenzio?

Cosa si può scrivere che non sia già stato scritto per uno dei musicisti migliori che abbia mai preso in mano una chitarra? Che anni erano? E' passato tanto tempo, era appena uscito Corridors Of Power... era il 1983, 1984 forse.

Quel chitarrista mi piacque così tanto che anni dopo, tra il 1989 ed il 1990 credo, contribuii a costruire una elettrica a somiglianza di quella azzurra che si vede sulla copertina e nel video Live Blues: la "Roy Buchanan" dedicata a sua volta al grande chitarrista di Ozark.

Non esisteva in commercio e l'unico modo fu costruirla. Decidemmo però di farla un po' diversa:  frassino nostrano, pesantissima, top in acero, tipo Gibson Les Paul... non so se conoscete.

Gary Moore è stato trovato morto nella sua camera d'albergo in Spagna il 6 febbraio 2011. Nacque Robert William Gary Moore a Lisburn, una ventina di chilometri a sud di Belfast, Irlanda del Nord, il 4 aprile del 1952. Gary Moore acquistò la prima chitarra elettrica all'età di 14 anni (destra anche se lui era mancino, reminescenza di un regalo del padre di sei anni prima) e solamente due anni dopo, nel 1968, si trasferì da Belfast a Dublino, per formare gli Skid Row, una band rock-blues sperimentale.

 

 

Il suo primo gruppo professionale in cui bassista e cantante del gruppo era un ragazzo di colore di nome Phil Lynott, un ragazzo che diventerà un grande amico ed anche un fondamentale compagno di viaggio per la carriera artistica di Robert William Gary Moore.

Gli Skid Row si fecero subito notare nella scena rock di Dublino ed il gruppo fu chiamato a suonare in città per l'apertura dei concerti dei Fleetwood Mac di Peter Green, insieme a Jeff Beck, grande ispiratore del giovane Moore. Fu la prima  svolta per la carriera di Moore poichè Peter Green aiutò la band a firmare un contratto con la CBS ed ebbe modo di apprezzare le doti chitarristiche ma anche umane di Moore al punto tale che decise di vendergli la propria Gibson Les Paul del 1959 per la cifra che Gary avrebbe ricavato vendendo a sua volta la sua miglior chitarra.

 

 

Detto e fatto il giovane Gary vendette la sua SG portandosi a casa la Les Paul del suo eroe per 100 sterline. L'aneddoto ha del curioso e del leggendario come si conviene a tutte le belle favole che circondano grandi artisti legati a grandi strumenti. La Les Paul che per Gary Moore è sempre stata la chitarra di Peter Green è una chitarra di valore e qualità immensi che Moore ha utilizzato con parsimonia specialmente in studio e raramente dal vivo, rivenduta poi nel 2006 al prezzo che si dice essere stato di 1'300'000 dollari.

Chi esce dal tunnel della droga e non vi fa più ritorno, ne rimane comunque segnato per tutta la vita; eloquente l'immagine di copertina del primo vero disco di Gary Moore, Back On The Streets del 1978, in cui Gary è raffigurato mentre lascia il carcere di Wormwood Scrubs di Londra.

Però... la trasformazione di Gary Moore da promessa a splendida realtà del chitarrismo mondiale iniziò proprio dopo gli anni 1976-1977, anni che lo videro lottare e disintossicarsi dalla dipendenza.

Anni che a mio avviso ne avrebbero segnato in maniera determinante lo stile musicale e la scrittura originando quell'alone di tristezza a volte più a volte meno nascosta ma quasi sempre presente all'interno dei suoi lavori, quella tristezza "blue" che decenni dopo gli avrebbe permesso di abbracciare la musica delle radici.

Cosa si può dire di un chitarrista in grado di essere potente e melodico allo stesso tempo? Io personalmente non lo ho mai reputato un chitarrista ma un musicista completo, quasi un cantautore, perchè di questo si sta parlando: un grande scrittore di grandi canzoni; già la collaborazione con il mai dimenticato Phil Lynott lo portò a lavorare si su chitarre ecc, ma anche sui testi. Inquadriamo il periodo:

Phil Lynott

da http://it.wikipedia.org/wiki/Philip_Lynott

«Come forza creativa del gruppo, Lynott era un compositore più profondo e intelligente di molti del suo genere, preferendo drammi quotidiani popolari di amore e odio, influenzato da Bob Dylan, Bruce Springsteen e virtualmente da tutta la tradizione letteraria irlandese» (John Dugan, critico musicale)

Ne esce una rivelazione particolarmente interessante, pensateci bene... "drammi quotidiani popolari di amore e odio". Lasciate perdere quei due nomi, uno dei quali con solide radici Irlandesi, pensiamo ai nostri amici, chè di amicizia vera di lungo corso si tratta: Phil nacque il 20 agosto 1949 a West Bromwich (Birmingham, Inghilterra) da padre brasiliano, Cecil Parris e da madre irlandese, dalla quale prese il cognome. Il padre abbandonò la famiglia quando Phil aveva solo tre settimane.

Appena nato, Phil venne portato dalla madre prima nei pressi di Manchester e in seguito a Dublino, dove crebbe a casa della nonna Sarah, stringendo in particolar modo un fortissimo legame con la madre e la nonna. I suoi genitori naturali si tennero saltuariamente in contatto, ma Lynott conobbe suo padre solo alla fine degli anni settanta.

Phil passò la sua giovinezza per le strade di Dublino, spesso schernito dalla società bigotta che condannava la sua estrazione complicata e sofferta di mezzosangue senza padre che a quel tempo in Irlanda non era una posizione comune e tantomeno accettata. Da ragazzo imparò la durezza necessaria a difendere la propria sensibilità dalla condanna della società e la consapevolezza del suo essere diverso e solo. Nelle sue liriche traspaiono queste due anime, quella della durezza e quella del sentimento. In tutta la sua carriera si è sempre descritto, attraverso le sue azioni e le sue canzoni, come un ragazzo di vita, un protagonista tra le bande di strada, un randagio.

 

 

Sapeva di essere un solitario, ma cercava di costruire il suo personaggio negli aspetti più ribelli e romantici; nelle sue canzoni spesso affiorano aspetti autobiografici che ricordano risse di strada e abusi di alcool ma sempre controbilanciate da fine sensibilità e senso dello humor. Philip Parris Lynott morì a Salisbury, 4 gennaio 1986 all'età di soli 36 anni in seguito a un'overdose di eroina. È oggi sepolto nel cimitero di St. Fintan's, a Sutton. Una sua statua in bronzo a grandezza naturale è stata eretta nel 2005 nel centro di Dublino.

"Drammi quotidiani popolari di amore e odio"

Phil Lynott prima e Gary Moore poi furono in grado non solo di suonare ma di scrivere con grandissimi risultati, non furono solo un gruppo di Hard Rock o due strumentisti particolarmente sensibili, furono in grado (e questo la dice molto lunga) di recepire le tensioni, i sogni, le speranze di una intera generazione di adolescenti Irlandesi.

Caso più unico che raro, furono in grado di dare una coscienza popolare ad una nazione in divenire e rimangono ancora oggi tra i gruppi più considerati e ricordati dell'intero territorio Britannico ben prima dei 4 di Dublino ma anche lì, in maniera profondamente diversa, più viscerale, sanguigna, meno elegante certo ma drammaticamente profonda; pensate alla reinterpretazione del classico dei classici "Whiskey In The Jair".

Un paio di esempi:

"Don't believe a word" (Thin Lizzy - Johnny The Fox 1977)

Don't believe me if I tell you
Not a word of this is true
....
Don't believe a word
For words are so easily spoken
And your heart is just like that promise
Made to be broken
Don't believe a word
'Cause words can tell lies
And lies are no company
When there's tears in your eyes

Victims Of The Future del 1983, fortemente influenzato dal periodo "degli scioperi della fame" e scritta per la infanzia negata dei bambini della sua città

Searching each day for the answers
Watching our hopes disappear.
Set on a course for disaster
Living our lives in fear.
Our leaders leave us in confusion.

For them there's only one solution.
Caught in the fight for survival
Trapped with our backs to the wall.
Are we just lambs to the slaughter?
Who wait for the axe to fall.
Our world is headed for destruction.
Our fate is in the hands of fools.
................
Into the verbal arena
Armed with the lies that they tell.
They're fighting for world domination
Backed by the weapons of hell.
Is there no end to all this madness?
Is there no hope for us at all?

Non sono straordinariamente e drammaticamente attuali ?
Proviamo a ragionare sulla discografia, ordinata per anno di pubblicazione:

Gli esordi

Grinding Stone (1973)
Back on the Streets (1978)
G-Force (1979)

Esordio a parte del 1973 pubblicato a nome "The Gary Moore Band", il primo vero disco di Gary Moore può essere considerato Back On The Streets, uscito nel 1978; se pensiamo che i brani sono suonati da Phil Lynott e Brian Downey dei Thin Lizzy, Don Airey e Simon Phillips, che come singolo venne estratta "Parisienne Walkways" e che la canzone Back On The Street è stata da sempre uno dei punti di forza dei concerti di Gary Moore, non possiamo fare altro che riascoltarlo al più alto volume possibile.

La maturità artistica e l'affermazione

Corridors of Power (1982)
Victims of the Future (1983)
Live at the Marquee (1983)
Dirty Fingers (1984)
We Want Moore! (1984)
Run for Cover (1985)
Rockin' Every Night - Live in Japan (1986)
Wild Frontier (1987)
After the War (1989)

Menzione speciale per Corridors of Power e We Want Moore ma segnalazione a parte meritano anche i due Wild Frontier e After the War.

Di "genere" hard rock sono entrambi lavori in cui le radici Irlandesi, sinora più o meno celate, qui emergono prepotentemente.

Dapprima nel "concept album" Wild Frontier (frutto di un viaggio nella zona di Belfast del 1985), disco in cui le radici celtiche sono ben evidenziate sia nella musica che nei testi e che vede la partecipazione dei Chieftains ed a seguire in After The War (da molti considerato la vera "summa sintesi" dello stile Hard Rock di Gary Moore) che contiene il brano manifesto del suo stile Blood Of Emeralds, sicuramente uno dei più belli scritti da Gary Moore, dedicato all'amico scomparso Phil Lynott.

Il Blues

Still Got the Blues (1990)
After Hours (1992)
Blues Alive (1993)
Blues for Greeny (1995)

Per questi, oltre alle presenze di Albert King, Albert Collins, George Harrison (Gary ricambierà il favore nel secondo disco dei Traveling Wilburys vol. III) mi basta, oltre a consigliare l'ascolto di Midnight blues (su Still Got The Blues), dire due sole cose:

  • ha ridefinito il suono di una chitarra che ha fatto la storia della musica 
  • ha pubblicato il più bel tributo che sia mai stato registrato.

Così devono esser fatti i tributi: non con inutili manifestazioni di bravura da circo ma con un umile e personale omaggio a chi ha influenzato musica e vita.

Gli ultimi lavori

Around The Next Dream (1996)
Dark Days in Paradise (1997)
A Different Beat (1999)
Back to the Blues (2001)
Scars (2002)
Live At Monsters Of Rock (2003)
Power of the Blues (2004)
Old New Ballads Blues (2006)
Close As You Get (2007)
Bad For You Baby (2008)

Se sorvoliamo sulle due "scivolate" di A Different Beat e Scars, è sin troppo facile immaginare che Gary Moore artista avesse trovato una sorta di equilibrio, in un rock-blues suonato con la energia che gli è sempre stata riconosciuta; è il periodo che apprezzo di meno, legato come sono alle caratteristiche precedenti che vengono qui riunite con risultati sempre molto apprezzabili. 

Trattasi però di dischi che hanno una loro peculiarità: sono omogenei, diretti come un treno trainato da una locomotiva che sbuffa sudore, per questo stesso motivo, molti potrebbero considerarli la vera manifestazione della raggiunta maturità stilistica di Gary Moore, aspetto da considerare se si ascolta soprattutto Back to the Blues. 

Le raccolte

Spanish Guitar - Best (1992)
Ballads & Blues 1982-1994 (1994)
Out in the Fields - The Very Best of Part 1 (1998)
Blood of Emeralds - The Very Best of Part 2 (1999)
Have Some Moore - The Best Of (2002)
The Platinum Collection - Rock, Blues and Live 3 disc set (2006)

Dunque, qui  trovate tutto ma proprio tutto, collaborazioni, singoli e rarità che confermano come il musicista fosse molto apprezzato anche al di fuori dei generi "classici" che ha frequentato; per convenienza ho azzardato a dividere in quattro grandi periodi, che secondo me si possono identificare sia con qualche variazione stilistica sia con il raggiungimento di un "punto di arrivo", ma se ne può discutere ampiamente, ovviamente.

Sin qui giunti, cosa consigliare? Di Gary Moore?

Fatemi un'altra domanda per cortesia... potrei esser velocissimo rispondendo TUTTO, indistintamente perchè il tutto significativo di una evoluzione stilistica, strumentale e musicale davvero rara. Da appassionato (non fan per l'amor di Dio) voglio segnalarvi qualche cosa meno nota ma di sicuro valore, le collaborazioni con i Colosseum II di John Hiseman e con Adrew Lloyd Webber per lo sperimentale Variations.

 

 

Le collaborazioni per i dischi (bellissimi) di Greg Lake per l'omonimo Greg Lake (1981) e Manoeuvres (1983) e per il concerto edito nel '96 dalla etichetta radio King Biscuit Flower Hour (Presents in Concert); con Jack Bruce per il Cities Of The Heart del 1993 (uno dei miei preferiti), preludio alla buona prova di Around the Next Dream (BBM) registrato insieme a Ginger Baker ed allo stesso Jack Bruce nel 2002.

Metto inoltre, tra le vette raggiunte, la collaborazione con Don Airey per lo stupendo K2 - Tales Of Triumph And Tragedy del 1988, disco in cui Gary Moore raggiunge vette di lirismo davvero uniche in brani che sembrano presi dal periodo Colosseum II. Ma anche uno dei doppi LP più belli di sempre, We Want Moore del 1984 in cui la versione di "So Far Away" di Mo Foster e Ray Russell fa da intro al suo classico "Empty Rooms" per una suite chitarristica da oltre dieci minuti di cuore... e basta, come non pensare che quel "dramma quotidiano popolare di amore e odio" non fosse e non sia autobiografico?

 

 

I dischi dal vivo direi tutti, anche Rockin' Every Night registrato con una formazione da pelle d'oca (Ian Paice - Batteria, John Sloman - Voce, Don Airey - Tastiere, Chitarra, Neil Murray - Basso) e pubblicato il 1 gennaio del 1986 che contiene lo strumentale "Sunset" omaggio a Randy Rhoads, uno dei capolavori assoluti The Blues Alive e poi i video, le vecchie VHS, alcune mai convertite in dvd, da avere senza discutere: Emerald Aisles Live in Ireland Gary Moore (VHS Tape - 1988) - An evening of the blues with Gary Moore and the midnight blues band  (VHS Tape - 1991) - Live Blues - Starring Gary Moore and Midnight Blues Band (VHS Tape - 1993) - Blues For Greeny Live - Starring Gary Moore (VHS Tape - 1996).

Dispiace che la scomparsa temporanea (avete letto bene, temporanea) di un musicista così influente venga sottostimata da chi dovrebbe impegnarsi a diffondere anche la cultura della musica: Gary Moore non era un chitarrista come gli altri (banale direte voi, lasciatemi finire dico io), Gary Moore era un musicista che attraverso la sua chitarra parlava, comunicava, viveva, affrontava con la furia e la passione che gli abbiamo sempre riconosciuto i "drammi quotidiani popolari di amore e odio" sia personali che della sua terra.

Non faceva dire niente a nessuno, men che meno ad un oggetto: ci sono stati e ci saranno chitarristi tecnicamente più preparati, non si discute, ma pochissimi e per pochissimi intendo si contino sulle dita di una sola mano, in grado di trasmettere quello che avevano dentro in maniera così diretta e sincera come ha fatto lui.

Riuscire, una volta imbracciato lo strumento, a trasformarsi in un mezzo lui stesso non staccato ma unito a quel prolungamento corporeo che gli ha permesso di essere vivo; da qui nasce il titolo scritto davvero di getto... sangue d'Irlanda, sangue sudore e lacrime, passione, poesia, tristezza ma anche gioia, fierezza, orgoglio di render tutta la vita una canzone, anche se blue...

E' impossibile ascoltare un brano di Gary Moore, almeno quelli che lo hanno reso famoso, senza venir colpiti da quello che si trova e si ascolta oltre la chitarra: dentro c'è sempre qualcosa di strano, quel qualcosa che lo rende davvero unico, qualcuno potrebbe parlare del tocco, qualcuno dello stile, qualcun altro del suono.

Una delle caratteristiche che abbiamo sempre riconosciuto ai più grandi è quella di essere indipendenti dalla chitarra ed anche il nostro, Ibanez, Hamer, Charvel, PRS, Strato, Les Paul, Soldano, Marshall o altro era sempre lui. Pure dalla thinline azzurra dedicata a Roy Buchanan era in grado di tirar fuori cantini così grassi da riuscire a trasmetterne persino la cellulite ed anche di questo dobbiamo renderci conto.

Ciascuno di coloro che hanno amato Gary Moore lo hanno amato e lo ameranno sempre per quel qualcosa di personale che metteva in ogni brano, ed è buffo questo, magari lui non se rendeva conto ma in giorni che ricorderò davvero a lungo per questa tristezza, la cosa che mi lascia sorpreso è proprio questa: oltre alla unanimità di consensi che ho riscontrato praticamente ovunque, tutti lo ricordiamo, tutti pensiamo a lui per un brano diverso, merito di una carriera lunga e articolata certo ma significativo che ciascuno di noi lo ricordi per qualcosa di personale e ritengo sia questo uno dei complimenti più belli da rivolgere ad un musicista.

Un caro ragazzo

Un caro ragazzo dotato di un bizzarro senso dell'umorismo che ha traghettato tanti rocker giovani e vecchi verso il sano e buon vecchio blues, a volte non proprio con uno stile ed un'ortodossia da puristi, ma con tanta sincera energia e la cosa più importante: un grande cuore.

 

 

Un cuore così grande che un giorno del 1994 gli fece prendere un pennarello, firmare una bellissima fotografia in bianco e nero "promo" della Virgin, metterla in una busta insieme ad un plettro e a qualche riga scritta per un ragazzo di Ferrara, Italia, un ragazzo che, pensate un po', gli aveva mandato delle fotografie di una chitarra che aveva costruito insieme ad un amico come la sua "Roy Buchanan" azzurra ed aveva messo un 27 rosso sulla paletta (chissà perchè poi), chitarra che in anni successivi sarebbe finita pure esposta e fotografata per un catalogo.

 

 

E quando penso al cuore, penso a questo brano in cui rende omaggio ad un altro grandissimo, la versione di The Messiah Will Come Again di Roy Buchanan appunto, registrato durante le session di After The War ed incluso solo nella versione CD dello stesso album.

 

 

 

Brano che non riesco ad ascoltare senza che le lacrime mi scendano dagli occhi e i pensieri mi rimandino all'Altissimo che da qualche giorno mi sembra un po' meno buono; lungi da me offendere qualcuno ma davvero... non riesco a non pensare alle tante domande che vorrei fare ed alle tante risposte di cui avrei bisogno, risposte che forse, non avrò mai.

Perchè?  Una risposta potrei averla ma sarebbe troppo dolorosa, per me prima di tutti, per un periodo in cui affidiamo alla musica una delle poche, forse l'unica valvola di sfogo alle tristezze di una vita opprimente, oscura, un tempo in cui tutto sembra perdersi nel diluvio, ma un tempo in cui abbiamo il coraggio di piangere per un musicista  che se ne va (perchè sono sicuro che gli occhi lucidi sono venuti A TUTTI), un tempo in cui cedere alle proprie passioni diventa imperativo per cercare una ragione per lottare e accettare quanto accade.

 

 

Robert William Gary Moore nacque a Lisburn, una ventina di chilometri a sud di Belfast, Irlanda del Nord, il 4 aprile del 1952; pare che si sia addormentato in una camera da letto in Spagna pochi giorni fa e stia ancora dormendo sognando di suonare con Albert King, George Harrison, Cozy Powell e Phil Lynott.

La vita  mi ha insegnato che Babbo Natale esiste, come esistono le favole e a qualcuno è concesso di rimanere immortale; a volte lo ho dimenticato, ho sbagliato e ho pagato come quelli che cadono nel tunnel della droga ma ne escono, anche se a caro prezzo, consci che una seconda possibilità raramente viene concessa; Robert William Gary Moore ebbe la forza di uscirne e la sua seconda possibilità non la gettò via, per fortuna nostra che ne abbiamo goduto per decenni e per altri decenni ne godremo ancora.

Su, sorridete, sono di nuovo insieme, li rivedremo un giorno.

   

 E a Mauro dico grazie per aver pensato a me e per non vendermi mai quella Lowden.

 Lauro Luppi

 

 

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